RIFORMA, SCOMMESSA PERSA. PENALIZZATE LE PICCOLE ASSOCIAZIONI - parte 1
22 Luglio

RIFORMA, SCOMMESSA PERSA. PENALIZZATE LE PICCOLE ASSOCIAZIONI - parte 1

RIFORMA, SCOMMESSA PERSA. PENALIZZATE LE PICCOLE ASSOCIAZIONI - parte 1

Pubblichiamo tre interventi di eminenti esperti e docenti universitari, che ringraziamo per il permesso concessoci.
Parimenti ringraziamo www.retisolidali.it e https://volontariatolazio.it che hanno pubblicato tali interventi.
Da notare quanto questo articolo sia, per usare le parole di uno dei tre esperti, "drammaticamente sempre più attuale".

Iniziamo con il Prof. Marco Grumo, dell'Università Cattolica di Milano.

 

«Il difetto della Riforma? Si doveva e poteva fare di più».
Marco Grumo, professore di Economia e management delle organizzazioni non profit all’Università Cattolica di Milano, è perplesso su alcuni aspetti dei decreti legge – Codice del Terzo settore e Impresa sociale – approvati l’estate scorsa. Un mix di dubbi, scetticismo e critiche illustrati anche durante la lezione di presentazione dell’executive master in Social Entrepreneurship dell’Alta Scuola Impresa e Società della Cattolica.
«Mi concentro su una serie di aspetti, che riguardano il funzionamento delle organizzazioni, perché il nodo della Riforma è quello di tenere insieme la qualità della progettazione imprenditoriale con l’impianto normativo».
Il professore, che da anni studia il management degli enti non profit, prende in esame sia il Codice del Terzo settore sia quello dell’Impresa sociale. Spiega: «Le norme contenute nella riforma richiedono alle organizzazioni un salto culturale su cui dovranno prepararsi e per farlo dovranno utilizzare gli strumenti giusti. Nel Codice ho contato ben 67 vincoli alla gestione dell’organizzazione. Obblighi che sono stringenti e onerosi soprattutto per le piccole-medie organizzazioni. Se analizziamo le regole sul funzionamento degli organi sociali o sulla gestione delle attività, troviamo una complessità tale che soltanto le grandi organizzazioni potranno sbrogliare da soli. Mentre per quelle mediopiccole, ciò comporterà una serie di difficoltà risolvibili solo con un aiuto esterno».

LE FORME DI FINANZIAMENTO. 
Un secondo aspetto nel mirino dell’esperto di management non profit concerne le forme di finanziamento e, quindi, la possibilità di poter progettare e continuare ad “appartenere” al mondo non profit: «Non c’è possibilità di autofinanziarsi con attività diverse da quelle di interesse generale», chiarisce il docente della Cattolica. «E se lo si fa ci sono troppo vincoli. A queste condizioni è difficile fare utili e, dunque, porre le basi per poter realizzare iniziative e attività a medio termine. La sostenibilità economica di un ente di Terzo settore si basa solo sulle attività legate all’interesse generale, che può arrivare da bandi pubblici o privati, da donatori oppure con il “social lending”. Se all’interno di queste attività ci sono perdite, per la legge non ci sono problemi. Se invece ci sono degli utili, allora iniziano i distinguo, perché l’attività è considerata commerciale».

Grumo entra nel dettaglio della legge e punta l’indice sull’articolo 6 del Codice: «È il caso dell’articolo che norma le “attività diverse, secondarie e strumentali” degli enti di Terzo settore. Attività che possono esercitare a condizione che l’atto costitutivo o lo statuto lo consentano e siano secondarie e strumentali rispetto alle attività di interesse generale e che tengano conto dell’insieme delle risorse, anche volontarie e gratuite. Capite la difficoltà per un consiglio di amministrazione di controllare continuamente quando l’asticella della propria attività è commerciale e quando non lo è. Ed è una norma inserita solo nel Codice del Terzo settore, tanto che per l’impresa sociale è prevista  la possibilità di reinvestire gli utili».
Sul versante della sostenibilità economica, Grumo rimarca il caso in  cui un’organizzazione di volontariato stipuli una convenzione con la pubblica amministrazione.
«La legge prevede solo il rimborso delle spese sostenute e documentate. Ma un conto è guadagnare per fare attività speculativa, un conto è ricavare un utile per sostenere le proprie attività. A mio parere sono due film totalmente diversi. Se l’utile è visto negativamente a priori, come fa un’organizzazione a sostenersi senza utili? È condannata alla dipendenza finanziaria. Ma sappiamo che la dipendenza finanziaria
vuol dire fragilità. E la fragilità vuol scarso impatto sociale».

 

Prof. Marco Grumo, Università Cattolica di Milano.

BUROCRAZIA E CONTROLLI. 
Un altro punto dolente, sottolineato dal direttore di “Cattolica per il Terzo Settore”, riguarda le norme sulla trasparenza previste nel dettato legislativo, soprattutto per enti con dimensioni medio-piccole: «Entrare nel Registro unico nazionale del Terzo settore prevede controlli da parte del ministero del Lavoro, controlli delle autorità competenti come in materia fiscale, controlli degli organi interni – compresi quelli di denuncia e di intervento – che dovranno essere tarati sulle regole del collegio sindacale previsto dal codice civile per le società. Poi ci sono i controlli sul bilancio, quindi la revisione legale del bilancio, ci sono le responsabilità degli organi di governo e c’è la responsabilità degli organi di controllo».

E continua: «Bisogna poi produrre un bilancio economico con determinati  requisiti, c’è il diritto degli associati di esaminare i libri sociali, sono previste scritture contabili professionali, il rendiconto della raccolta fondi e, per gli enti con entrate superiori a un milione di euro, c’è l’obbligo del bilancio sociale e della misurazione dell’impatto
sociale».

Obblighi di controllo e di bilancio che implicano dei costi. «Si tratta di un impianto disegnato», continua Grumo,  più per le grandi organizzazioni che per le piccole. In particolare, l’organo di controllo interno diventa di fatto un collegio sindacale, pertanto un organo forte con grosse responsabilità. Non a caso una nota del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, prima della pubblicazione del decreto legge, suggeriva di adottare al posto del collegio sindacale l’organo dei revisori dei conti, disciplinato dallo statuto dell’ente e, di conseguenza, non ai sensi del Codice civile».
Un passaggio cruciale per il non profit, visto che il collegio sindacale è obbligatorio per le associazioni riconosciute e per quelle non riconosciute, quando, per due esercizi consecutivi, sono superati due dei seguenti limiti: totale dell’attivo dello stato patrimoniale 110mila euro; entrate per 220mila euro; 5 dipendenti occupati a tempi pieno.
«Sono numeri bassi», commenta ancora Grumo, «facilmente superabili se, per esempio per il primo caso, l’ente possiede un immobile come un appartamento. Quindi gli enti di Terzo settore sono sì stati riconosciuti, ma liberi di fare impresa lo sono un po’ meno».

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Marco Grumo è Professore Associato di Economia Aziendale presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore.
Insegna economia aziendale presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano dal 2007.
Insegna Economia aziendale, Organizzazione aziendale e Organizzazione e management delle imprese internazionali presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia.
Laurea in Economia, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Dottore di Ricerca in economia aziendale e management (Phd) Università Bocconi di Milano.
Dottore commercialista in Milano e Revisore legale dei conti.
E' coordinatore della laurea magistrale in "Management delle imprese e delle relazioni internazionali" e di "Turismo internazionale" della Facoltà di Lingue straniere dell'Università Cattolica di Brescia, dove è anche coordinatore delle discipline aziendali presso l'Università Cattolica di Brescia.
I suoi temi di ricerca scientifica sono: management e amministrazione degli enti del terzo settore, management e amministrazione delle imprese internazionali, management e amministrazione delle imprese turistiche,bilancio finanziario e non finanziario (bilanci sociali, bilanci integrati, bilanci di sostenibilità e in generale non financial disclosure e dichiarazioni non finanziarie delle imprese).
E' coordinatore scientifico dei seminari di "Economia globale e imprese internazionali", "Turismo globale e management" e di "Imprese internazionali e sostenibilità" organizzati dalla cattedra di economia aziendale della Facoltà di Lingue straniere dell'Università Cattolica di Brescia.
Già segretario della commissione enti non profit dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Milano e già membro della commissione rendicontazione economico-finanziaria del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti).
Ha rivestito e rivesto tuttora incarichi in enti non profit significativi in qualità di membro dei consigli di amministrazione, collegio dei revisori dei conti e consulente in particolare di organizzazioni non profit ed ecclesiastiche e ideatore di alcuni progetti di sviluppo e innovazione di enti e attività ecclesiastiche.
Già membro del comitato enti e beni della Conferenza Episcopale Italiana.
Direttore (dalla costituzione) della Divisione Enti Non Profit di Altis- Università Cattolica.
Dal 2000 Docente di Economia aziendale e contabilità e bilancio (metodologie e determinazioni quantitative d’azienda) presso la Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano.
E' stato, presso la Facoltà di Economia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, coordinatore della laurea triennale e della laurea magistrale in Economia e legislazione d'impresa rivolta alla formazione dei dottori commercialisti e referente delle esperienze exhange nell'ambito dei progetti di business policy.
Presidente del Collegio dei revisori della Fondazione Educatt dell’Università Cattolica.
Coordinatore di “Cattolica per il terzo settore” dell’Università Cattolica.
Già revisore dell’Associazione Ludovico Necchi dell’Università Cattolica.
E' membro del consiglio di amministrazione del Fondo di solidarietà dei docenti dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.